La Loggia di Amore e Psiche








Fu Giulio II a presentare Raffaello ad Agostino Chigi: un incontro fortuito trasformatosi in un vero e proprio sodalizio tra il “principe” dei mercanti e il “principe” degli artisti, sodalizio che durò fino alla loro scomparsa avvenuta a pochi giorni di distanza. Da studioso di astri, Chigi lo individuò subito come “astro” del firmamento artistico romano e la prima opera commissionatagli fu la Galatea, realizzata tra il 1511 e il 1512 nell’omonima sala della villa della Farnesina in cui sono presenti anche gli affreschi del Sodoma, di Sebastiano del Piombo e dello stesso Peruzzi.
Dopo aver completato la Galatea, a causa della consistente mole di lavoro in Vaticano, Raffaello fu costretto ad interrompere i lavori nella Farnesina per cinque anni. Il maestro tornò disponibile nel 1517, nell’esatto momento in cui il più grande desiderio di Chigi era quello di realizzare una cornice decorativa per il matrimonio con la Ordeaschi che potesse perdurare nel tempo.
Così, tra il 1517 e il 1518, vennero intrapresi i lavori per l’opera in assoluto più grandiosa eseguita per il mecenate: la decorazione della Loggia di Amore e Psiche. Originariamente la sua funzione era di ingresso alla villa, ed era rivolta a nord per creare un senso di armonia tra le architetture moderne, fontane, e i reperti antichi situati a ridosso della vicina sponda del Tevere. Raffaello trasformò la volta in un’architettura effimera da festa, come se il giardino proseguisse all’interno del palazzo stesso, suggerendo un continuum tra lo spazio naturale e quello architettonico con una decorazione a pergolato costituita di festoni carichi di fiori e frutti. Questi ultimi simulano la composizione di un padiglione scandito da pennacchi e vele della lunga volta la cui esecuzione fu affidata a Giovanni da Udine, ricordato da Vasari in questi termini: “Ardisco affermare che Giovanni in questo genere di pitture ha passato tutti coloro che in simili cose hanno meglio imitato la natura; perciocché oltre all’altre cose, insino ai fiori del sambuco, del finocchio e dell’altre cose minori vi sono veramente stupendissimi”. Secondo il professor Zuccari lo spunto dei festoni fu preso dalle interpretazioni dell’antico di Mantegna, in modo particolare dai suoi perduti affreschi del Cortile e della Cappella del Belvedere in Vaticano.
Lo sfondo del pergolato è costituito da un cielo azzurro che, a causa di un restauro degli anni trenta, ha subito gravissimi danni soprattutto per quanti riguarda l’intensità del colore. Nella volta centrale, incastonati tra i festoni, ci sono due grandi arazzi rappresentanti il Concilio degli Dei e il Banchetto di nozze di Amore e Psiche, le scene preannunciatrici della legittimazione di Francesca Ordeaschi e il successivo banchetto. Per evidenziare il rapporto diretto con la realtà, Raffaello scelse la favola di Amore e Psiche, narrata da Apuleio nell’Asino d’oro, una storia drammatica che collegava gli dei alla vita degli umani, in grado di ampliare le possibilità creative dell’artista. È palese come ci siano delle chiare analogie tra la storia dei due amanti del romanzo e quella di Agostino con Francesca, soprattutto per quanto riguarda i personaggi femminili. Psiche viene portata dai venti da Amore e riesce a superare ogni ostacolo per poter entrare nella cerchia degli dei illustri, dopodiché durante la sua gravidanza, viene data in sposa al suo amato dallo stesso Giove. Il tutto conclusosi con una grande festa nella completa armonia dei partecipanti.
La volta fu svelata il primo gennaio del 1519, ma la decorazione rimase incompiuta. Gli affreschi sulla volta si limitano ad illustrare gli eventi della favola di Psiche avvenuti in cielo. Mancava la decorazione delle lunette e della striscia sovrastante la cornice  a imposta. Probabilmente all’interno delle lunette dovevano esser dipinte le vicende terrene e quelle degli inferi. A conferma di questa ipotesi troviamo i personaggi che, in evidente rapporto con il registro inferiore, indicano verso il basso oltre che l’esistenza dei disegni di Raffaello e aiuti per episodi che non furono mai dipinti. Nei dieci pennacchi troviamo una serie di scene con figure messe di scorcio, mentre nelle quattordici vele vi sono rappresentati dei putti con gli attributi mitologici che li associano alle divinità.







Nel pennacchio di sinistra è ritratta una venere nuda di profilo su una nuvola. A destra s’innalza il suo drappo color giallo oro che mosso dal vento forma la prima lettera di Eros, un epsilon greco. Come il drappo anche i capelli s’innalzano e insieme le gote infiammate costituiscono elementi che mostrano la grande agitazione della dea. Stringendo a se suo figlio, indica con la mano sinistra la lunetta sottostante e le due gambe sono una alzata con indolenza, mentre la destra è poggiata con grazia su una seconda nuvola. Amore è innalzato e pronto per spiccare il volo, alto come la madre da seduta, ricorda molto il giovane ragazzo della favola con i biondi boccoli dorati. Lo distinguiamo facilmente dagli altri amorini grazie alla presenza di arco e freccia. Il pennacchio successivo racconta una scena assente nel racconto di Apuleio, ovvero amore che vola dalle sue tre nude inservienti, rappresentate come le tre Grazie e caratterizzate come dee su troni di nuvole. Siccome sia Raffaello che il suo committente erano interessati a ritrarre il maggior numero di nudi possibili, le rivediamo nello specchio della volta nel dipinto del banchetto degli dei. L’esile figura di Amore indica in basso verso la scena mai dipinta di Psiche, e da ordine alle sorellastre di aiutarla nella preparazione, rendendola degna del dio. I tre corpi femminili, caratterizzati da una turgida sensualità, sono probabilmente dipinti dallo stesso Raffaello, mentre i volti sembrano realizzati da Giulio Romano. La Grazia in primo piano seguendo il dito di amore fa una torsione verso sinistra e, appoggiandosi con il braccio sinistro, copre sia il pube di Amore che la parte inferiore del suo viso indagatore. La Grazia anteriore, seduta su una nuvola gigante che prosegue nell’unghia confinante, alza il braccio in segno di assenso, mentre l’altra, in posizione ancora più arretrata (Aglaia, la più giovane) è l’unica in piedi presa dall’eccitazione. Si stringe alla sorella per il timore che il fratellastro possa indurla a tradire la madre.
Probabilmente Raffaello aveva incluso la scena inventata delle tre Grazie in previsione della decorazione dell’attigua lunetta con la scena con Amore rimproverato da Venere. È compresa invece nel romanzo di Apuleio il conflitto con Cerere e Giunone che da a Raffaello il modo per interpretare in pittura i caratteri totalmente differenti delle tre dee. Qui vediamo una Venere ulteriormente agitata e rigonfia che nella sua imponenza e perfettamente eretta al centro del pennacchio occupa gran parte dell’ampiezza. Giunone nella favola cerca di farle capire di essere più comprensiva verso il figlio, ma sentendosi essa stessa incompresa si allontana. Nell’affresco questo momento è rappresentato con Venere che ha già mosso la gamba sinistra in avanti per andarsene con il volto, rivolto verso Giunone che, spinta fin dietro al festone seduta su una nuvola invisibile, ha braccia tese in avanti e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, in segno di rassegnazione verso la testardaggine della sorella. Cerere è il personaggio più mite. Osserva disorientata la rabbia della dea dell’amore e con la mano alzata prova a calmarla. La maggior parte della scena è opera del maestro, mentre la testa di Giunone sembra realizzata da Giulio Romano.
Nella scena appena descritta abbiamo una Venere che infuriata arriva ad occupare quasi tutto lo spazio disponibile. In quella successiva raggiunge il culmine invadendo da sola l’intera superficie mentre alla guida di un carro d’oro trainato da piccole colombe si precipita all’Olimpo per chiedere l’aiuto di Giove. Il carro è stato un regalo di nozze di suo marito, Vulcano ed è dotato di pesanti ruote e decorazioni di amorini e ghirlande di fiori. La dea è protesa leggermente in avanti mentre per accelerare il volo agita le braccia che allo stesso tempo reggono il drappo, ormai sbiadito in un rosa pallido. Nella scena successiva subisce un altro radicale cambiamento: è ora una gracile fanciulla indifesa che si rapporta al padre come Amore con lei nella prima scena. Guardandolo affettuosamente tende le braccia verso Giove tenendo il palmo destro aperto in segno di ricerca d’aiuto. Avvolto nella parte inferiore da un drappo viola, il padre degli dei, nella sua erculea fisicità, è seduto su una nuvola e sostenuto in parte da un’aquila sofferente sotto il suo peso. Capiamo che è di un’età avanzata solo grazie alla chioma riccioluta e la barba altrettanto curata. A riempire il pennacchio centrale opposto a Venere e Amore è il messaggero divino che guardando frontalmente la volta aiuta la dea nella ricerca di Psiche, promettendo a chi l’avesse ritrovata sette baci da parte di Venere stessa. Il suo aiuto è annunciato da tre amorini nelle unghie che lo precedono. Uno alza il caduceo, il secondo è accompagnato dalla pantera di Bacco mentre il terzo (alla destra di Mercurio) suona il flauto di Pan. Il Mercurio dagli occhi spalancati con tanto di piedi ed elmo alati è riconosciuto anche come dio dei mercanti e che nelle scene seguenti capiamo essere egli stesso l’identificazione di Chigi piuttosto che Amore. Si trova in una posizione che simboleggia una qualità di veglia verso l’ingresso, è il più nudo tra i personaggi e puntando con la mano sinistra verso un simbolo fallico del festone ci indica quanto i suoi ideali non siano soltanto platonici.
Un’altra grandissima assente è la scena rappresentante l’umiliazione di Psiche, la quale viene trovata e trascinata verso Venere dalla Personalizzazione dell’Abitudine, per poi essere consegnata nuovamente all’angoscia e alla tristezza. Mancano anche tutte le prove dell’amore della ragazza, in particolare la discesa negli inferi per recuperare la crema di Proserpina, il sonno di morte provocato dal profumo nel vasetto e il relativo risveglio con la freccia da parte dell’amato. Due di queste potrebbero esser state previste per le lunette nella parete occidentale. Saltate tutte le prove Raffaello passa direttamente alla rappresentazione di una Psiche Trionfante, anticipata soltanto da un amorino con lo scudo e l’elmo di Minerva, con tanto di brocca con la pomata di Proserpina mentre abbraccia Amore che ricambia guardandola affettuosamente.
Raffaello è un grande conoscitore della psiche umana, lo dimostra in tutta la composizione ma la scena in cui riesce a dimostrarlo con maggiore enfasi rispetto alle altre è l’episodio che in realtà è appena accennato da Apuleio, ovvero il momento in cui Psiche consegna il recipiente a Venere, che qui è affiancata da due amorini con elmo e scudo, simboli di litigio. Venere è nera di rabbia, perfino il suo drappo, le sue perle e il diadema che indossa sono di colori scurissimi. È seduta su di una nuvola come nella prima scena, è talmente tesa che sembra sia la causa del fuggire delle due colombe all’angolo del pennacchio. La dea Subisce il trionfo di Psiche dimostrandole tutto il suo disgusto con gli angoli della bocca rivolti all’ingiù, alzando le braccia e allargando le dita delle mani. Di contro Psiche inginocchiata la guarda con venerazione, porgendo con grazia la pomata preziosa. Questo episodio sembra aver affascinato Raffaello più delle scene che lo precedono ed è chiara la presenza del tocco del suo pennello sia nel perfetto modellare dei corpi che nell’espressività dei volti.
Due amorini con clava di Ercole simboleggiano le prove superate e, subito dopo, l’incontro tra Amore e Giove che Apuleio descrive minuziosamente trasformato Raffaello nel momento più erotico della volta. Giove prima guarda intensamente Amore negli occhi e un attimo dopo lo bacia con affetto sulla bocca. Tiene il ragazzo con entrambe le mani e ha riposto il fascio di fulmini nel becco dell’aquila. Amore è statico ma pronto a scagliare la freccia che tiene stretta insieme all’arco nel pugno sinistro. Le fiamme del fulmine di Giove si propagano fino a raggiungere l’amorino vicino, che esalta gli strumenti del fabbricatore Vulcano. Siamo arrivati all’ultimo pennacchio, non il meno importante se pensiamo alla simbologia e alla carica erotica dei personaggi. Il messaggero degli dei porta Psiche all’Olimpo, ma Raffaello sceglie di dipingerli come una coppia. Mercurio guarda Psiche estasiato mentre con la mano sinistra la stringe a se e con la destra tiene il caduco. Psiche ricambia il suo sguardo e incrocia le braccia con devozione sul petto. Avvolti dal drappo giallo mostrano una vicinanza erotica che non è pertinente con il racconto. Il ciclo termina con l’unghia raffigurante un amorino, probabilmente Amore, che si appoggia su un tiro con un leone e un cavallo marino che lo portano nel cielo.
Al centro i due grandi arazzi. Sulla destra il concilio degli dei, a sinistra il banchetto seguente. Una scelta stilistica che contrasta con le abitudini visive dell’occhio occidentale e  la direzione di lettura delle lunette.
In realtà in concilio corrisponde solamente in maniera parziale alla descrizione che ne fa Apuleio. Partendo da destra troviamo nuovamente Giove con drappo viola poggiato con la gamba sinistra su di una nuvola, e la destra su un globo terrestre con il mondo greco. Tra le gambe di nuovo l’aquila.  Il suo sguardo è rivolto verso Amore, lo ascolta nell’attesa di potergli dare una risposta. Amore, che viene rappresentato proporzionalmente più piccolo e robusto rispetto alla scena del bacio, è di spalle e guarda leggermente arrossato verso Giove. Venere le sta dietro e sembra supportarlo portando la mano sinistra sulle sue ali. È il primo momento di tenerezza e comprensione della dea. Solleva la veste, lasciando scoperte le caviglie, come anche i seni fiorenti. Dietro Giove ci sono Minerva, con elmo, lancia e gorgoneion[1], Diana, con diadema con falce lunare e Giunone con il pavone. Tra Giove e Venere ci sono Nettuno con il tridente e Pluto con il Bidente. Appena dopo Venere invece troviamo marte Marte dotato di lancia ed elmo. Visibilmente eccitato, attira l’attenzione di Apollo che, lo indica ad un Bacco con testa cinta da ghirlande di vite. Meno divertito della scena è Vulcano, marito di Venere il cui sguardo è rapito dal disdicevole comportamento di Marte. Tra Vulcano e Bacco troviamo un anziano Ercole con tanto di clava che ascolta con attenzione. Egli, in qualità di unico essere umano entrato nella cerchia degli dei, è particolarmente preso dall’esito della sentenza. Oltre alla curiosa presenza di una divinità fluviale (forse il Tevere), a concludere questa scena troviamo rappresentato Giano bifronte: la metà del volto più anziana guarda verso gli dei in veste di protettore dell’agricoltura, quella più giovane invece è rivolta verso il futuro e indica Mercurio al margine sinistro. Qui la storia di Apuleio subisce un cambiamento: non è Giove a porgere a Psiche, con il consenso degli dei la coppa dell’immortalità, ma Mercurio. Ciò conferma le supposizioni, ora più chiare di prima, secondo le quali Chigi si identifica con Mercurio e, nonostante assumi una posizione quasi identica a quella di Amore, risulta avere sembianze ancora più divine. La Psiche che vediamo in questa scena è la figura più graziosa dell’intera volta. I suoi boccoli ricadono sulla spalla e il suo abito è rigonfio dal vento generato dal volo con Mercurio. Un piccolo amorino, simbolo del potere universale dell’amore, cinge le sue gambe.
Il banchetto di nozze risente più degli altri episodi degli interventi dei collaboratori di Raffaello di cui si sono conservati numerosi disegni preparatori. Probabilmente, data la ristrettezza dei tempi, entrambi gli arazzi sono stati eseguiti nello stesso momento. Di certo qui l’inventiva non gli manca: al Papa e ai cardinali, principali invitati alle feste di Chigi, egli contrappone i corpi nudi degli dei e di quasi tutti i personaggi che compongono l’episodio. Tuttavia, diversamente da Apuleio, il maestro sceglie di rappresentare soltanto le divinità sposate ad eccezione di Bacco, Apollo e Pan la cui presenza è giustificata per la funzione da loro svolta. Davanti la tavola (imbandita con recipienti classicheggianti colmi di carne e pane, una saliera piramidale e una caraffa di olio), accanto Giove e Giunone - che volta le spalle al marito dispotico -  ci sono: Nettuno che abbraccia Anfitrite, Plutone che reagisce con vergogna all’indicazione di Proserpina ed Ercole con Ebe. Quest’ultima, coperta soltanto da un copricapo bianco e oro, guarda il marito con affetto dando le spalle all’osservatore. Ercole sembra ispirato al torso del belvedere, e mantiene la posizione del guerriero instancabile. Nel gruppo a sinistra le muse, insieme ad Apollo, Pan e a Venere danzante con Vulcano alle sue spalle. Il dio aggrotta la fronte ed è anche qui adirato con la moglie. Invece di prendere posto accanto a lui, lei danza. Indossa un abito simile a quello di Psiche nel concilio ed i suoi capelli sono ornati di fiori di diversi colori. Anche Apollo la osserva mentre suona la sua lira, sia per seguire il ritmo della sua danza ma soprattutto per ammirarne la grazia. Psiche, come nell’altro arazzo, è prossima al centro e allo stemma papale e giace vicina ad Amore, che qui vediamo rappresentato da adulto. Dietro di loro le Grazie che li cospargono di profumi piacevoli mentre bacco versa il nettare nelle coppe da un’anfora di metallo. Davanti la tavola Ganimede che porge a braccia tese la coppa ad un Giove concentratissimo. In alto e al centro ci sono le due Ore[2] con ali di farfalla che spargono fiori sul capo dei fratelli di Giove e le loro mogli.
Protagonista dell’arazzo, ma in generale di tutta la volta è Venere. È ritratta sette volte, a dispetto di Amore, Psiche e Mercurio ritratti rispettivamente 5, 4 e 3 volte. Il ciclo inizia dalla sua rabbia verso gli umani che onorano una donna mortale come una dea, e si conclude con il ritorno alle leggi divine che permettono di legittimare il posto di Psiche nella cerchia degli immortali. Raffaello le attribuisce il ruolo di protettrice del matrimonio della stessa classe e concentra su lei la sua intima conoscenza dell’anima femminile. Venere aveva vegliato sulla legittimazione della relazione di Chigi e Francesca, fino ad allora egli l’aveva tenuta nascosta proibendole di partecipare alle feste in presenza del Papa prima che egli stesso li benedicesse. Un altro livello di significato della favola pagana riguarda Raffaello e la sua amata, la “Fornarina”, anch’essa assimilata a Psiche. Secondo Vasari, senza di lei Raffaello non riusciva a trovare la concentrazione per dipingere il ciclo.
Raffaello, negli ultimi anni della sua vita, aveva acquisito una grandissima conoscenza dell’antico che rappresentava con estremo realismo storico. Era in grado di evocare lo spirito dell’antico come nessun altro.
Le giornate di lavoro alla villa furono 305 e il suo programma decorativo fu eseguito in collaborazione con gli alunni più fidati della sua scuola. Giulio Romano era considerato il più talentuoso, tant’è che ricoprì un ruolo importante anche nella stanza dell’Incendio di Borgo e potrebbe aver dipinto anche il sesto, l’ottavo e il decimo pennacchio insieme a numerose figure nella volta e dell’arazzo a sinistra. Giovanfrancesco Penni aveva uno stile più simile del maestro e probabilmente dipinse il primo, il quinto e il settimo pennacchio. Le unghie, gli animali e i festoni vennero eseguiti da Giovanni da Udine, l’esperto di fiori, frutti, oggetti inanimati e putti. Il maestro invece, oltre ad una sostanziosa parte dei personaggi, si occupò anche dei disegni preparatori e di qualche correzione dove ritenesse necessario.
Nonostante il la decorazione sia incompleta, le scene della volta sono per noi sufficienti per comprendere il contesto dell’epoca. Per Chigi infatti, importavano soprattutto la bellezza di Psiche, la gelosia di Venere, il sostegno di Giove e l’accoglienza all’Olimpo, nonché il palazzo di Amore, il quale poteva essere inteso come metafora della Farnesina stessa.
Causa la morte di Raffaello e poi del committente l’opera non fu ultimata e le pareti della loggia rimasero spoglie fino alla seconda metà del seicento, quando venne realizzata la decorazione a monocromo e furono restaurati i dipinti sotto a direzione di Carlo Maratta.
Un recente e accurato intervento conservativo ha posto rimedio ai danni riscontrati e fornito nuovi dati per la conoscenza di questo capolavoro.

Emanuela Muccigrosso





Foto 1 presa dal sito della Villa Farnesina, Foto 2, 3 e 4 scattate dall'autrice nel dicembre 2015. 


Frommel C. L., La Villa Farnesina a Roma, Franco Cosimo Panini Editore, Modena
Vasari G., Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e archi tettori, vol.IV, Edizione Giuntina 1568, Istituto geografico De Agostini Novara, Novara, 1967
Zuccari A., Il Rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello.  Catalogo della mostra (Roma, 25 ottobre 2011-12 febbraio 2012), saggio Raffaello a Roma: le grandi imprese pittoriche, Mondadori Electa, Roma, 2011.





[1] Pendente orrorifico rappresentante la testa di una gorgone.
[2] Le custodi dell’olimpo, dello scorrere del tempo e della legalità.

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