Che cos'è il colore?
Gabriel Dawe, Plexus no. 35, Museo d’Arte di Toledo in Ohio, Stati Uniti, 2016.
Recentemente,
ho avuto occasione di riflettere sulla sua percezione visiva e su quanto essa
sia soggettiva quando si parla del colore. Ho rivolto a me stessa delle domande
riguardo la realtà dei colori e del perché vengano descritti in maniera diversa
da persona a persona. Di fatto entro spesso in conflitto con la definizione
delle sfumature del rosso o del porpora, nonché della loro percentuale RGB, con
persone che dal canto loro ne parlano in maniera totalmente diversa.
Il
colore della Luna di Paola Bressan parla del colore dal punto di vista
psicologico, mettendo a confronto cultura e scienza. Un breve estratto del
testo può aiutarci a capire.
Il
colore della luna – come vediamo i colori
Ogni
essere vivente ha sviluppato, secondo le sue esigenze, un personale modo di
percepire i colori. Per i mammiferi marini il mondo appare in bianco, nero e
toni di grigio, ossia monocromatico. Le scimmie del nuovo mondo hanno una
visione dicromatica a coppie di colori, mentre quelle del vecchio mondo quella
tricromatrica. La possibilità di moltiplicare i colori non è però sinonimo di
evoluzione della specie. Il pesce rosso infatti ha la visione tetracromatica,
cioè a quattro coppie di colori.
Ma che
cos’è il colore?
Quando
i botanici ancora non sapevano dell’impollinazione delle api, erano sorpresi
del fatto che nella nostra flora non esistessero molte specie di fiori rossi,
presenti invece nei paesi tropicali. Il mistero è presto svelato. Le api non
vedono il rosso, che è però visto perfettamente da insetti come il colibrì, il
quale è infatti attivo ai tropici. I rari fiori rossi della nostra flora sono
impollinati dalle farfalle, fatta eccezione del papavero, il quale, avendo una
componente ultravioletta, può essere visto dalle api.
Ma se
il mondo che ci circonda viene da noi percepito in così tante tinte differenti
che cos’è realmente il colore non può essere spiegato. L’unica risposta possibile è quella che in
realtà gli oggetti non sono colorati, e che il colore è un’esperienza soggettiva
che dipende dalla luce riflessa e dalla vista di chi guarda.
Il
primo a pensare che il colore non è una proprietà dell’oggetto fu Newton, il
quale, con l’esperimento dei due prisma, capì che non era il prisma stesso a
generare il colore ma che attraverso di esso la luce in apparenza bianca si
scomponeva in uno spettro di colori. Quando la luce del sole colpisce un
oggetto sono tre i casi: tutto lo spettro è riflesso e l’oggetto risulta
bianco, lo spettro è assorbito e l’oggetto è nero, oppure che una parte dello
spettro viene assorbita e un’altra parte riflessa e l’oggetto appare del colore
della luce riflessa. Il colore assorbito non raggiungendo l’occhio non può
essere visto. Non dobbiamo però pensare che il raggio sia di per sé colorato.
Il colore è legato alla loro capacità di produrre risposte rispetto ad un
sistema nervoso.
Nello
specifico il termine “colore” viene usato genericamente per indicare concetti
differenti, e per facilitare la comprensione si necessita di un linguaggio
preciso. Ecco perché per definire un colore utilizziamo i termini di tinta,
chiarezza e saturazione.
La
tinta permette di distinguere il verde dal rosso, il rosso dal blu, eccetera.
La sua grandezza fisica corrisponde alla lunghezza d’onda. La chiarezza è
legata alla quantità di luce riflessa fisicamente dalla superficie. In base ad
essa possiamo definire un colore più chiaro o più scuro. La saturazione si
riferisce invece all’intensità di un colore o al suo essere più o meno
sbiadito.
Lo
spettro di luce visibile da un essere umano va dai 380 ai 700 nanometri. Un
osservatore può distinguere “soltanto” 150 tinte e ciascuna di esse ha
moltissimi valori di chiarezza e saturazione per un totale di sette milioni e
mezzo di colori. Nessuno di essi corrisponde ad una singola lunghezza d’onda ma
si ottengono mescolandone due o più. Citando il mixaggio dei colori non
possiamo non pensare ad un pittore che amalgama i pigmenti per crearne altri
ancora. Egli però non sta mescolando luci, ma sostanze colorate, compiendo
un’operazione chiamata mescolanza sottrattiva.
La mescolanza
riguardante le luci si chiama mescolanza additiva e può essere esplicata con il
sistema di televisore a colori. Le sue immagini sono colonne di puntini
luminosi rossi, verdi e blu. Se ci avviciniamo possiamo percepirli ma ad una
minima distanza dal mezzo i puntini vengono fusi, ottenendo un processo
additivo dato dalle lunghezze d’onda di ciascuna luce che raggiungono l’occhio.
Benché il televisore produca soltanto tre colori, le proprietà del nostro
sistema nervoso genera la percezione di una moltitudine di colori.
È
possibile ottenere una mescolanza additiva anche grazie ai pigmenti. Basti
pensare alla tecnica del puntinismo, utilizzata a fine ottocento da artisti neo
impressionisti francesi come Seurat e Signac, la quale è ottenuta applicando
piccole quantità di colore l’una vicina all’altra. Il risultato ai nostri occhi
è lo stesso che si ottiene con il televisore a colori. Il motivo per cui ciò
accade è che, nella nostra percezione, i colori acquistano le componenti
complementari dei colori adiacenti.
Quindi
l’esperienza umana del colore è direttamente collegata con le differenti
lunghezze d’onda, alle quali corrispondono risposte neurali diverse. Se cosi
non fosse, ovvero che per ogni lunghezza d’onda l’occhio rispondesse in modo
identico, il mondo ci apparirebbe tutto in bianco e nero. Il fisico Thomas
Young sviluppò nel 1801 la teoria tricomatrica (ripresa cinquant’anni dopo dal
fisiologo tedesco Hermann Von Helmholtz), secondo la quale l’occhio non aveva
bisogno di un numero di recettori pari al numero di colori ma che in realtà
erano sufficienti tre. Un’idea che non spiegava il fenomeno del contrasto delle
immagini consecutive le quali suggeriscono un colore complementare per ogni
colore. Fu Edwald Hering a proporre che ci fossero sulla retina tre meccanismi
bipolari (al posto dei tre percettori) rispondenti in modo opposto al bianco,
nero, rosso e verde, giallo e blu. Anni dopo si arrivò alla conclusione che
entrambe le teorie erano valide. I tipi di percettori sono tre, ma i segnali in
uscita sono organizzati in tre canali separati che codificano le differenze tra
bianco e nero, rosso e verde, giallo e blu. Perciò al nostro cervello arrivano
tre segnali insieme che determinano un solo colore. Una miscela additiva dei
segnali provenienti da questi tre sistemi. La luce che provoca una risposta
massima in tutti e tre i sistemi di percettori appare bianca. Inoltre nella
retina è stata individuata l’esistenza di cellule che aumentano l’attività in
presenza di certe lunghezze d’onda e la diminuiscono in presenza di altre.
La
composizione spettrale della luce dipende dallo spessore dell’atmosfera che i
raggi devono attraversare, quindi dipende dall’ora del giorno. Se invece ci
riferiamo all’illuminazione artificiale quasi tutte le lampadine emettono uno
spettro che corrisponde solo approssimativamente a quello della luce bianca. Il
fenomeno secondo il quale gli oggetti mantengono un colore costante, nonostante
passino le ore e cambino le luci, è chiamato Costanza di colore. Ruolo
importante è svolto anche dal fatto che noi sappiamo quale sia il normale
colore delle cose, per esempio una banana di polistirolo giallo risulterà più
gialla rispetto ad un cubo di polistirolo giallo. Ne deduciamo che la nostra
percezione è naturalmente influenzata dalla conoscenza degli che abbiamo
acquisito con il tempo. Tuttavia il meccanismo della costanza di colore ha in
sé delle falle evidenti nel momento in cui gli oggetti sono illuminati da una
luce che con quella del sole ha poco in comune.
Come
sosteneva anche Kandinskij, i colori influenzano la nostra vita, basta pensare
alla capacità che hanno di alterare il sapore dei cibi e bevande: il rosso
favorisce infatti l’appetito, il blu lo fa passare. Proviamo una naturale
repulsione per cibi di colore sbagliato, questo perché già nell’infanzia
associamo il colore di ciò che ci nutre alla nostra stessa sopravvivenza. Esso
ha anche effetti diretti su sensazioni, stati d’animo. Per esempio una valigia
bianca è percepita più leggera di un’altra valigia uguale ma nera.
Il
colore della Luna - Come vediamo i grigi
Ogni
oggetto assorbe parte della luce e riflette il resto. La quantità di luce
assorbita o riflessa dipende dalla riflettenza, chiarezza e luminanza
dell’oggetto. La riflettenza è la percentuale di luce che colpisce la superficie
di un oggetto mentre la chiarezza è invece il colore così come lo vediamo. La
luminanza è invece l’intensità della luce riflessa, da cui dipende la nostra
esperienza della percezione dei bianchi, neri e della scala di grigi.
Non
tutti gli esseri umani possono avere la stessa esperienza del colore. In molti
sono coloro che soffrono di disturbi relativi alla visione del colore. Tra
questi il più conosciuto è il daltonismo il quale consiste in una vera e
propria inabilità nella percezione del colore. In proposito un curiosissimo
caso è quello degli abitanti di Pingelap, un’isola del Pacifico, in cui una
persona su dodici è affetta da acromatopsia, ovvero di totale cecità al colore.
In questo caso i coni percettori del colore non producono alcun segnale
elettrico in risposta alla luce. La storia genetica di questa popolazione è
raccontata da Oliver Sacks nel suo libro L’isola
senza colore del 1997.
Sempre
Oliver Sacks in Un antropologo su Marte ci
descrive un caso analogo, questa volta accidentale. Un pittore perde la
capacità di vedere i colori in seguito ad un incidente d’auto e sprofonda in
una forte depressione a perché il suo vecchio mondo, caratterizzato da infinite
nuance, essenziali per un pittore, si è riempito di sfumature di grigio. Ora
anche le persone gli sembrano delle “statue grigie inanimate”. Egli vede il
mondo in toni di grigio perché in precedenza ha potuto godere della visione a
colori; gli abitanti di Pingelap invece nascono del tutto insensibili al colore
e trovano anche strano il concetto stesso di grigio. Non è in effetti
indispensabile vedere a colori se questi non hanno mai fatto parte della nostra
visione.
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